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Scegliere cosa vendere è il primo e più importante servizio che un’azienda svolge per i clienti ed è anche quello meno percepito, perché noi vediamo solo quello che vediamo, non quello che è stato scartato. Basta pensare alla lista dei vini di un ristorante, ai suggerimenti delle piattaforme di e-commerce, alla selezione delle notizie che fa un giornale serio e, ovviamente, ai prodotti che troviamo in un negozio. Lo diamo per scontato, è parte integrante dell’attività: se hai messo in lista quel vino e io ti ho scelto per cenare da te posso dare per scontato che quel vino valga la pena. Può non piacermi, esattamente come può non piacermi un piatto, ma mettere in discussione le scelte fatte significa mettere in discussione la qualità di un locale, di un servizio, di una testata.
Non solo selezione
Questo servizio oggi prende una forma precisa, perché sempre più spesso la selezione viene valorizzata dall’esposizione, nel caso di un negozio fisico o dalla user experience e dall’impaginazione, nel caso dell’e-commerce o di un servizio d’informazione. Possiamo definirlo cura o meglio, usando un termine inglese che viene dal latino curatus, curation: sempre più spesso e sempre di più in futuro scegliere cosa vendere e come farlo scoprire assomiglierà a fare da guida spirituale a clienti sempre meno disposti a perdere tempo per farsi strada nell’offerta sconfinata di ipermercati e centri commerciali.
Come scrive Michael Bhaskar, autore di Curation: The power of selection in a world of excess, “la scelta ha a che fare con la selezione, ma anche con la disposizione, la messa a punto, la semplificazione e la contestualizzazione”. Anche in una carta dei vini, per tornare all’esempio iniziale, la selezione di per sé non aggiunge valore, che invece arriva quando la carta viene arricchita di informazioni che aiutano sia la scelta competente sia quella più istintuale ed emotiva. Prendersi cura è anche far leva sul piacere di una scelta, riducendo l’ansia e la paura di sbagliare.
Sicurezza e rassicurazione
I brand che hanno costruito le loro fortune su questi aspetti sono apparentemente lontani dal mondo del retail: l’App Store, per esempio, basa il suo successo anche su una selezione molto più rigida rispetto alla concorrenza delle app ammesse. Questa è una garanzia di sicurezza oltre che di qualità, così come il bollino Amazon’s Choice, oltre a far risparmiare tempo e dubbi, rassicura grazie all’interazione tra intelligenza collettiva e selezione editoriale.
Vale anche per i negozi, anche per quelli inattesi. Entrando nella Farmacia Roccasalva di Modica, per esempio, si ha la sensazione di essere in un posto che sta facendo per la cura di sé, medica e non, quello che Eataly ha fatto per il cibo: si viene accolti da una selezione difficile da trovare altrove di prodotti cosmetici e, soprattutto, in una stanza dedicata, di alimenti locali e non pensati per la prevenzione e la salute, ma anche per il gusto. La scelta di mettere in evidenza la bellezza e l’alimentazione comunica qualcosa di molto preciso: ci prendiamo cura di te perché tu possa non aver bisogno delle medicine. Non è una scelta casuale o strumentale, perché nasce dalla passione della proprietaria per l’importanza della nutrizione, passione che anche in negozi apparentemente di puro servizio come una farmacia può fare una grande differenza.
Diventare un concept store
Ogni negozio, in potenza, può usare la curation per diventare un concept store, seguendo la strada tracciata da Corso Como 10 a Milano o Dover Street Market a Londra, che sono dei luoghi da visitare per distrarsi e rilassarsi prima ancora che per fare acquisti. Oppure, come l’IFC Mall di Hong Kong, essere riconosciuti come trend setter internazionali per la moda e il lifestyle. L’importante è tenere sempre in mente il significato profondo della curation e cioè il prendersi a cuore e cura delle persone che si affidano a noi per non dover perdere tempo ed energie inutilmente, in modo che la scelta e l’acquisto siano un piacere in sé e non una gran fatica.
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